cerco il fuoco della terra quello del cielo lo lascio a Prometeo, nessun prodigio dell’invisibile nè vittima sacra non vesto il cilicio dei profeti,
fanciullezza, rivoluzione, follia, a disgregare l’orologio della ragione a ingoiare giudizi prima della mia nascita, a spezzare eredità di parole, voce, reiterata voce a me migrante.
comincia nel cuore questo freddo, arrivato d’improvviso, senza bussare alla porta con discrezione si accoccola ai miei piedi e pretende di arrivare ai miei pensieri, con insistenza, decisione impotente, stanca e senza desideri lo lascio vagare sulla mia pelle, giocare con le mie labbra, sfiorare i miei occhi pur sempre un amico che arriva quando meno lo vorrei, è un amico un compagno di tempi che si succedono e che non vogliono mai allontanarsi del tutto lo temo e mi fa compagnia, gela le malinconie e i pianti, tramuntando le lacrime in cristalli salati, lasciando la pelle tirata che potrebbe spezzarsi al primo movimento gli occhi mi dolgono, hanno dentro piccole punte di ghiaccio che impediscono loro il sonno e il riposo, come cime innevate che il sole non vuole scaldare avvolgimi malinconia con un panno colorato e culla un corpo che ha bisogno di fuoco a volte accade che la malinconia si faccia uccello e mi racchiuda fra le sue ali, ma basta un lieve soffio di vento o un rosso o un giallo ad allontanarla da me
mi sono persa, il mio cuore è stanco non brama più l’esserti vicino e la memoria non ha più cassetti da aprire
dietro le ciglia della notte ero qualunque cosa tu volessi la bellezza i sensi il sorriso il lamento la femmina l’anima l’amica le tue ferite dolorose le lacrime del cielo il ritornello la conversazione i labirinti il rifugio la dimora il sogno la realtà l’esistenza la pioggia, le rose, il viola, il velluto,
lacrime a scorrere furtive non lasciano scampo, bagnano quello che di te resta spudoratamente oscene
ti svelano al mondo nuda, dolorante da lividi di vita sciolgono l’argilla del viso lasciando tracce di trucco colorato, che un fiocco di cotone cancellerà indifese orme di un dolore a forza rubato
danzano bagliori iridescenti nel palmo della mia mano ciprie di luce sulle guance sugli occhi, trucco leggero di polvere d’oro e d’argento
ho viaggiato al femminile in un grande fiume agitato dove l’erba è cresciuta crisalide di un istante e la mia rosa fiorirà in autunno. ora è buio, l’aria è un colibrì che vola senza fiati e il ventre del melograno è colmo
un pittore difficile e complesso, che io però amo molto, nelle distorsioni delle sue figure e nelle sue nature morte c’è sempre disperazione, ma anche uno sguardo di dolorosa tenerezza…
cercando di collocare Chaim Soutine in una corrente artistica si dovrebbe scegliere l’Espressionismo, anche se, in realtà, come Modigliani o Viani, Soutine fu sostanzialmente un indipendente, un solitario, impermeabile ad influenze esterne, fuori da ogni movimento organizzato, fedele solo a sè stesso., Soutine, ebreo russo, giunge a Parigi, dicasettenne, nel 1911 dalla natia Lituania e si trova al centro di un mondo in grande fermento culturale, dove l’Impressionismo ha cambiato le regole del fare arte, dove ogni avventura intellettuale appare possibile e realizzabile, dove la frequentazione di un gruppo di pittori ebrei, accomunati non solo da affini ideali artistici ma anche da una coscienza di esiliati venata di malinconia, lo conforta e lo indirizza nella sua attività artistica: con Modigliani, Chaim Soutine rappresenterà in seguito l’espressione più tipica della cosiddetta “Scuola di Parigi”.
Determinante si rivela l’incontro con il conterraneo Marc Chagall e il suo mondo magico e fantastico, dove sfumano i parametri spazio-temporali e i colori si dispiegano liberamente ed arbitrariamente secondo la logica soggettiva di un artista affabulatore dotato di straordinaria capacità immaginativa, la stessa che Soutine, nel quale prevale invece una visione del mondo intensamente drammatica, riversa impetuosamente in allucinati paesaggi, tragiche figure,cupe nature morte con carcasse di animali squartati. Di Chagall, Soutine coglie la vivace e violenta versione cromatica e la capacità di esternare la propria interiorità emotiva in modo assolutamente disinibito, personale ed autonomo, definendo poi ed affinando il suo linguaggio formale anche attraverso lo studio delle opere di Van Gogh, nel quale si identifica per una peculiare poetica dell’angoscia: Soutine fu infatti personalità difficile, asociale, introversa, incline alla depressione, spesso sull’orlo del suicidio, definito dai suoi amici un selvaggio poco avvezzo all’uso delle posate ed alla pulizia personale. Soutine nel tempo tende a strutturare in modo sempre più libero il suo linguaggio artistico, fatto di linee tese e contorte, colori guizzanti in inaspettate accensioni e violenti contrasti di luce, schemi compositivi di grande dinamismo, seppure nei termini di immagini sostanzialmente raffinate, talvolta ossessivamente ripetute nella forma e nel tema Cosicché la distorsione della forma, che risente anche dello studio appassionato della pittura di El Greco, di Rembrand, di Toulouse Lautrec, nulla toglie alla sostanziale figuratività delle opere di Soutine, poichè, come afferma De Kooning, egli distorce la figura, ma non la persona.
Una disposizione di due forchette poggiate su un piatto di tre aringhe, del 1916, evoca un misero pasto condiviso.
Soutine era noto nella sua cerchia per non mangiare in modo da poter acquistare materiali artistici e, in seguito, per digiunare prima di dipingere la carne, usando la fame per affinare la sua percezione. Tra gli altri suoi crotchets c’era un’avversione per la tela nuda. Preferiva lavorare su vecchi dipinti che acquistava a buon mercato da antiquari e mercatini. almeno nelle fotografie, accattivantemente trasandato. Ha frequentato il Louvre e dipinto nature morte in un mélange di stili informati da Cézanne e, anche se per qualche motivo lo ha sempre negato con rabbia, van Gogh. Nel 1918, con Parigi sotto la minaccia dell’invasione tedesca, Soutine si trasferì a Ceret, vicino al confine con la Spagna, e trascorse gran parte dei successivi tre anni viaggiando nel sud della Francia. Ha dipinto paesaggi vertiginosi, sull’orlo dell’informe, come qualsiasi cosa nell’arte fino ad oggi: tornado di pigmento, che sono amati da tutti i pittori con cui ne ho parlato. I suoi ritratti dai contorni storditi di persone a caso – amici, un pagatore d’albergo, una sposa, un pasticcere – forzano un ossimoro: caricatura empatica, che sembra allo stesso tempo deridere e amare la sventurata umanità. Il genio di Soutine raggiunge l’apice nei quadri di carne, realizzati dopo il suo ritorno a Parigi, nel 1921. Comprò i soggetti dai macelli e li trattenne così a lungo che, secondo un racconto spesso raccontato, il loro fetore marcio spinse i suoi vicini a chiamare la polizia. Ha invocato la necessità artistica e – tutti salutano i francesi – è riuscito a un compromesso accettando di ridurre l’odore con la formaldeide. Sfortunatamente, la sostanza chimica ha offuscato i colori della carne, cosa che Soutine ha rimediato bagnando regolarmente le carcasse con sangue fresco. Lavorava in modo spasmodico, con frenesia estatica a seguito di incantesimi incolti. Invece di prendersi il tempo per pulire i pennelli, li ha scartati da un colore all’altro. I pennelli usati sporcherebbero il pavimento del suo studio. li ha scartati da un colore all’altro. I pennelli usati sporcherebbero il pavimento del suo studio. li ha scartati da un colore all’altro. I pennelli usati sporcherebbero il pavimento del suo studio. Nel 1922, il primo collezionista americano di pittura moderna, Albert Barnes, fece visita al rivenditore di Soutine. Quasi cinquanta dipinti erano in vendita. Barnes li ha comprati tutti. (Sedici di loro sono in mostra nel museo della Barnes Foundation, recentemente trasferito, nel centro di Philadelphia.) Il successo a Parigi è arrivato rapidamente. A soli ventinove anni, Soutine era una star, beneficiando di un rinnovato gusto per l’arte figurativa sulla scia demoralizzata della prima guerra mondiale. Venne associato all’espressionismo tedesco e austriaco: un errore. L’espressionismo è uno stile. Soutine ha strappato lo stile a brandelli. C’è un’immediatezza stranamente realista nei dipinti di carne. Si sforzò con ogni mezzo – spatola, bastoncini, pollici – di trasporre le forme e le sostanze che vedeva direttamente nella materia della pittura. Il processo potrebbe sembrare qualcosa tra un incontro di lotta nel fango e una lotta all’ultimo sangue: orribile, nei casi di galline spennate nude e appese al collo, con i becchi spalancati come se gridassero. Altre immagini sono tenere: conigli morti interi e pesci pacifici come bambini che sono stati cantati per dormire. Greenberg si è lamentato del fatto che il lavoro di Soutine fosse “più simile alla vita stessa che all’arte visiva”. Aveva ragione!