io credevo che almeno durante questa emergenza i conflitti sparsi per il mondo e che sono davvero tanti, avessero avuto momenti di pausa, e si fossero per lo meno allentati, ma mi sbagliavo i Signori della guerra non conoscono pause! anzi in diversi casi la minore attenzione internazionale alle varie vicende ha riacceso dei conflitti che parevano sopiti
nulla resta della guerra soltanto polvere di falsi trionfi teschi avvolti nell’oblio inascoltati spettri di abissi cosmici a modellare piaghe infette da sangue lasciato sui selciati piangenti
giovani occhi serrati in violenze non volute in dolori non ridolti
scarpe macchiate dal silenzio dello spirito appese all’ombra delle parole
nulla resta della guerra soltanto un lungo viaggio freddo senza preghiere per i morti,
labbra bagnate di rugiada non berranno il sogno dalle mani di un cielo muto e lontano
è un film del giapponese Kon Ichikawa che lo girò nel 1956 negli anni a cavallo tra il 70 e l’80, (ai tempi della mia gioventù), amavo molto i film giapponesi e non perdevo i cineforum e le rassegne ad essi dedicate e mi capitò di vedere questo film e non sono mai riuscita a dimenticarlo! è la storia di un soldato che diventa monaco e che si ferma a dare sepoltura ai morti mi ha rapito l’anima, mi ha aperto la mente ad altri mondi , mi ha dato la possibilità di provare rispetto per l’altro da me per cultura, per credo, per spazio e per tempo
nel luglio 1945 la guerra volge al termine: nel tentativo di sfuggire alla morte o alla prigionia, le unità giapponesi valicano i monti o si aprono la via nelle foreste di Burma per raggiungere la Tailandia. I soldati del capitano Inoue marciano cantando, accompagnati dall’arpa birmana del soldato scelto Mizushima. Questi, che conosce la lingua locale, viene mandato avanti e dà il segnale di via libera suonando l’arpa. Vicino al confine i giapponesi sono ospitati in un villaggio, ma poco dopo il villaggio è circondato dagli inglesi. Mentre il capitano Inoue è incerto se resistere o arrendersi, si sente l’arpa di Mizushima che suona “Home, sweet home!”, (Casa, dolce casa!) e anche gli inglesi si uniscono al coro. La guerra è finita e i giapponesi vengono rinchiusi nel campo di concentramento di Mudon. Mizushima viene mandato in missione presso una guarnigione giapponese che rifiuta di arrendersi: quando essa viene distrutta, solo Mizushima sopravvive, gravemente ferito, e viene curato da un bonzo. Guarito, egli ruba le vesti al bonzo, si rade la testa e si mette in viaggio per raggiungere Mudon e i suoi compagni. Durante il viaggio vede qua e là i resti insepolti dei soldati nipponici caduti in battaglia; questo triste spettacolo gli fa una profonda impressione e, giunto presso Mudon, rinuncia ad unirsi ai suoi compagni e decide di dedicarsi alla sepoltura dei soldati del suo paese, caduti in terra straniera. Egli parte portando con sé un pappagallo avuto da una vecchia fruttivendola che frequenta il campo di Mudon. Nel passare un ponte incontra i suoi compagni che vi lavorano e tentano inutilmente di indurlo a rimanere. Quando arriva l’ordine di rimpatrio, il cap. Inoue dà alla fruttivendola un altro pappagallo, che dovrà dire a Mizushima di ritornare. Ma alla fine la fruttivendola porterà al capitano il pappagallo di Mizushima che andrà ripetendo: “No, non posso tornare” con una lettera esplicativa dell’ex soldato scelto…
la lettera che il soldato Mizushima lascia ai compagni mi ha accompagnato da allora e ancora la conservo : “”Ho superato i monti, guadato i fiumi, come la guerra li aveva superati e guadati in un urlo insano, visto l’erba bruciata, campi riarsi. ……… Perché tanta distruzione è caduta sul mondo? ……… E la luce illuminò i pensieri, nessun pensiero umano può dare una risposta ad un interrogativo inumano. Io non potevo che portare un poco di pietà dove non era esistita che crudeltà. …….. Quanti dovrebbero avere questa pietà! Allora non importerebbe la guerra, la sofferenza, la distruzione, la paura, se solo potessero da queste nascere alcune lacrime di carità umana. Vorrei continuare in questa mia missione, continuare nel tempo fino alla fine. Perciò ho chiesto al bonzo che mi salvò dalla morte sul colle del triangolo di affidarmi la cura dei morti insepolti … perché le migliaia e migliaia di anime sapessero che una memoria d’amore le ricordava tutte, ad una ad una … La terra non basta a ricoprire i morti”””
e mi viene da chiedermi quanti ora hanno pietà della BIRMANIA , dell’IRAK, dell’AFGHANISTAN. della SYRIA, della PALESTINA..e..e..e…e..quanti daranno degna sepoltura ai cadaveri degli innocenti, dei vinti, di coloro che non hanno potuto finire la loro esistenza come la tradizione vuole, ma la violenza, la tortura hanno loro loro spezzato il fiato? quanti daranno degna sepoltura alla privazione della libertà, il nuovo sport dell’ultimo secolo? il suono triste e melodioso, tragico e ricco di speranza dell’arpa birmana invada i nostri cuori e le nostre menti
trasparenze pieghettate fragili, sottili, fluttuanti, di voci urlanti racchiuse in scatole ermetiche, private della luce da sbarre d’acciaio ovattate, lontane, dimenticate, gridano, rispondono risonanze lontane, sovrastate dal rullo di tamburi metallici ritmati nel liquido denso, appiccicoso dell’oro nero, si avvicinano frenetici, azzerando beffardi l’eco doloroso di una umanità travolta, disprezzata, annullata.
morte, conosci strade nascoste fenditure inaccessibili ti insinui in spazi angusti arrivi nei giorni di sole appari tra le gocce di pioggia fantasma grondante lacrime di sangue.
accarezzi la giovinezza di un sorriso per carpirgli il calore della vita. vaghi indecisa, aleggi come soffio di vento su visi primaverili su capelli splendenti su occhi vuoti ormai spenti
avvolta in un bianco drappo di lino immacolato ti aggiri tra macabre rovine come luce accecante come nulla ricolmo di atavici odi
i tuoi passi leggeri, furtivi, consolatori, a volte attesi con desiderio ora sono violenti, pesanti, dirompenti si avvertono da lontano dalle colline verdi che stentano a fiorire, portano scompiglio al canto degli uccelli appollaiati sugli alberi di melo che fuggono sorpresi, stupiti, non più ti riconoscono
sei diventata altro dalla fine giusta o dolorosa, serena o rabbiosa sei castigo, sei oltraggio, sei vendetta sei morte, soltanto morte.