comincia nel cuore questo freddo, arrivato d’improvviso, senza bussare alla porta con discrezione si accoccola ai miei piedi e pretende di arrivare ai miei pensieri, con insistenza, decisione impotente, stanca e senza desideri lo lascio vagare sulla mia pelle, giocare con le mie labbra, sfiorare i miei occhi pur sempre un amico che arriva quando meno lo vorrei, è un amico un compagno di tempi che si succedono e che non vogliono mai allontanarsi del tutto lo temo e mi fa compagnia, gela le malinconie e i pianti, tramuntando le lacrime in cristalli salati, lasciando la pelle tirata che potrebbe spezzarsi al primo movimento gli occhi mi dolgono, hanno dentro piccole punte di ghiaccio che impediscono loro il sonno e il riposo, come cime innevate che il sole non vuole scaldare avvolgimi malinconia con un panno colorato e culla un corpo che ha bisogno di fuoco a volte accade che la malinconia si faccia uccello e mi racchiuda fra le sue ali, ma basta un lieve soffio di vento o un rosso o un giallo ad allontanarla da me
gli occhi di un’età di steli di grano respirano il ciglio della collina
un pescatore raduna le reti prive di stelle e conchiglie
/ ma eravamo bambini / e il cielo sarà nuvoloso e la pioggia sgocciola fame scivolando nella bocca del cercatore di perle
germogli nel deserto della carne ad applaudire un cameriere all’ombra di un alfabeto bagnato dentro coppe di pane del tempo
la verità è imbrigliata nel tetto del sogno nuda così, come sonno d’amante.
(***) “And I’m standing on the edge of some crazy cliff. What I have to do, I have to catch everybody if they start to go over the cliff – I mean if they’re running and they don’t look where they’re going I have to come out from somewhere and catch them. That’s all I do all day. I’d just be the catcher in the rye and all. I know it’s crazy, but that’s the only thing I’d really like to be.” J.D. Salinger – The Catcher in the Rye – Ch. 22
E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale e via dicendo. So che è una pazzia, ma è l’unica cosa che mi piacerebbe veramente fare. “il Giovane Holden” di J.D. Salinger -capitolo 22-
***divertissement al modo della poesia araba medievale e quella delle corti di Spagna***
..* Ti saluto in una pesca, Una pesca in mezzo al vassoio, Avrei preferito baciarti, Mentre mordicchiavi il mio collo, In fondo al letto.
Ti saluto in un’arancia succosa, La mia bocca è dolce come miele d’estate. Io sono una rete di seta E tu un falco alato.
Ti saluto in una coppa Di rosse ciliege Apri le tue ali e portami lontano.
..*
lascia ch’io frughi lo scrigno della notte con sussurri di parole
lascia ch’io assaggi il miele dei tuoi occhi il nettare della tua bocca e ne riempia in segreto caraffe d’argento
la nostalgia a te mi riconduce, errante bagliore in filo d’alba
..*
Ho bevuto dal palmo della tua mano vino di luna
ho asciugato le mie labbra nei tuoi capelli
ho accarezzato la tua gola nido della tua voce
ho mordicchiato le dita delle tue mani dolci scrigni di morbide carezze
ho cercato la luce dei tuoi occhi ed in essi mi sono ritrovata.
..*
Toccami con le punta della dita dove l’incavo del collo è piu’evidente, baciami a piccoli sorsi le spalle dove il vestito scopre un morbido lembo di pelle,
addenta il mio labbro, percorrilo lentamente con piccoli morsi
mela piu’ tenera non potrai assaporare arancia piu’ succosa non potrai gustare melagrana piu’dolce non potrai assaggiare sono io il tuo frutto.
..*
ti sedurrò col vino ed il miele allunghero le mie dita sottili verso il tuo capo e seppellirò nelle tue mani la mia testardaggine, annegando ebbra nel nero cupo dei tuoi occhi
muta il corpo al desiderio si espande modellandosi in fiumi sttaripanti e senza argini
resta con me ancora un poco il sonno tarda a venire
..*mi ha sempre affascinato la poesia araba medioevale e quella che si “cantava” in Andalusia e in Sicilia, la poesia era sempre accompagnata da musica E’ una poesia prevalentemente d’amore , un amore passionale e carnale, dove la donna , regina dei cuori, è vista come oggetto del desiderio, dove per la donna amata si fanno pazzie e si coniano similitudini le più svariate. è una poesia che usa il reale e lo racconta come fosse pensiero, personificazione di concetti astratti, è una poesia dove l’aggettivazione che ai nostri occhi può sembrare ridondante serve a rafforzare un concetto (falco alato ad es.) nella lingua araba una cosa si può dire in almeno 10 parole diverse ognuna con una sfumatura particolare e adatta al ripo di discorso o descrizione che si fa. è un poetare che sembra semplice, ma segue regole molto complesse soltanto non tantissimi anni fa la poesia araba ha approcciato al verso libero fa riferimento in gran parte alla corrente sufi e contrariamente a quanto si pensa rende il “profano” sacro … esistono molte donne che nell’epoca che va dall’VII all’VIII secolo hanno scritto versi d’amore in senso lato in particolare Rabi’a al-Adawiya, che ha parlato dell’amore per Dio in un modo assolutamente “profano”, donna dalla vita intensa, e anche socialmente attiva è forse l’unica conosciuta in occidente perchè considerata “una santa” dell’Islam (cosa che mi lascia dubbiosa) comunque alcuni suoi scritti sono tradotti in Francese e alla Sorbona anni fa tenevano anche corsi su di essi una curiosità , alcuni dei suoi versi sono stati musicati per Om Kaltum la piu’ grande cantante che il mondo arabo abbia conosciuto.. negli anni ’50 è una poesia che si può definire profana e sacra al medesimo tempo, l’amore per Allah è spesso identificato all’amore terreno per una donna donna che è sempre oggetto del desiderio ma anche pensiero intelligenza, astuzia e forza. è una immagine di donna che a me gusta molto, sensuale, forte, coraggiosa, volitiva e libera nello spirito
ho provato spesso a cimentarmi nel provare a scrivere qualcosa che andasse in quella direzione, senza “copiare” gli stilemi, ma soltanto cercando di avvicinarmi ad essi mantenendo il mio modo di essere. non sempre ci sono riuscita perchè è piu’ facile a dirsi che a farsi, ma non ho ancora desistito, non ho difficoltà a dire che le cose che scrivo so io per prima che sono imperfette, spesso contengono errori anche grossi, ma non ho gli strumenti “materiali” per fare di meglio, e siccome scrivere mi piace comunque, sono sempre felice se qualcuno mi corregge, non la ritengo una intrusione, ma un arricchimento grande!!
il musicista Luis Delgado in ” El Hechizo de Babilonia” ha messo in musica i testi di sei poetesse arabo-andaluse vissute fra XI e XIII secolo, purtroppo non ho trovato traduzioni italiane di queste poesie!
IMPORTANTE!
mi permetto di aggiungere qui ( col suo consenso) un commento di Claudio Capriolo che cura un Blog unico nel suo genere,e che ci regala chicche musicali che difficilmente si trovano altrove, eccolo:
Secondo una teoria abbastanza accreditata, i trovatori presero spunto, fra l’altro, da forme poetico-musicali di origine araba affermatesi nella Penisola iberica durante la dominazione musulmana: per esempio lo زجل (che nei testi di filologia viene traslitterato in zajal o zejel), una forma strofica che fu praticata da poeti attivi in Andalusia a partire dall’XI secolo con Ibn Quzmān.
Poesia e musica inscindibili anche in Europa almeno fino al Trecento. L’ultimo grande poeta-musicista fu Guillaume de Machaut (o Machault), morto nel 1377; già il suo allievo Eustache Dechamps(† 1406) non era più in grado di rivestire di musica i propri versi.
A proposito: anche alcuni fra i trovatori non erano abbastanza bravi a comporre musica, e così dovevano fare ricorso all’aiuto di collaboratori versati nell’arte musicale, cercandoli fra i membri della servitù (salvo poche eccezioni, i trovatori appartenevano alle classi aristocratiche). Questi collaboratori erano detti in latino servi ministeriales: la parola ministerialis, che deriva da ministerium nell’accezione di “mestiere”, in lingua d’oïl divenne ménétrier, donde l’italiano menestrello. Ovviamente nella scala sociale i menestrelli, che erano compositori, stavano un gradino più su dei giullari (in latino ioculatores, in lingua d’oc joglar, in lingua d’oïl jongleurs), meri esecutori. E tenevano molto a questa differenziazione sociale, tanto che nella seconda metà del Duecento il trovatore Guiraut Riquier rivolse una supplica a Alfonso X il Saggio affinché con la propria autorità si esprimesse, una volta per sempre, sulla confusione che regnava nella corte riguardo alle parole trobaire (trovatore) e joglar.