Gianna Macchiamatta da (Old Possum’s Book of Practical Cats di T. S. Eliot)

Storia molto liberamente tratta dal libro “ Il libro dei gatti tuttofare” di T. Eliot e reinterpretata per raccontarla alla mia nipotina

Vorrei raccontarvi delle storie di alcuni gatti che un Signore di Nome Thomas Eliot scrisse tanti tanti anni fa in un libro che si chiama “Il libro dei gatti tutto fare
questo libro piaceva tanto anche a mia figlia quando era piccola.
Bene cominciamo con la storia della gatta:


Gianna Macchiamatta!


Gianna Macchiamatta ha un pelo tigrato con macchie di leopardo (pensate un po’ che tipo strano!!) e sta seduta tutto il giorno su un gradino proprio in cima alla scala o si nasconde sotto lo zerbino.
Ma è quando arriva la notte che Gianna comincia a lavorare, appena la famiglia si è adormentata si liscia bene il pelo e si mette a frugare in cantina, a vedere se ci sono i topolini e quando li ha trovati li mette tutti in fila e insegna loro un po’ di musica, di ricamo e il lavoro ad uncinetto.
E’ impossibile trovare un gatto che le somigli e quando c’è una bella giornata ama starsene al sole a schiacciare un pisolino e come il solito quando viene la sera e la famiglia dorme Gianna scende in cantina e si mette a cucinare per i suoi amici topolini, una bella torta topolsa con pane e piselli e una gialla frittatina con prosciutto e formaggio
A Gianna piace molto tirare le tende come per farci dei nodi e ama anche guardare dalla finestra gli uccellini svolazzare.
Così passa le sue giornate e le sue notti Gianna Macchiamatta.
alla prossima storia di gatti un abbraccio

Il WADI RUM o della Valle della Luna

Ieri parlando con Luisa di deserti abbiamo ricordato il Wadi Rum e io ho ripescato un post che avevo fatto due anni fa proprio sul Wadi

il Wadi Rum definito anche Valle della Luna, è un affascinante Spazio di sabbia rossa da cui si alzano montagne di Roccia, fu molto amato da Laurence d’Arabia, che ne conosceva anche i piu’ reconditi segreti.
si trova a 30 Km da Aqaba, quindi abbastanza vicino al Mar Rosso, ed è da tanti anni il mio posto delle Fragole. di solito per arrivare al piccolo villaggio di Rum si usa la macchina e poi se uno vuole a piedi o a cavallo
entrare nel Wadi Rum è come entrare in un altro Mondo, un luogo silenzioso, enorme, incredibilmente senza tempo
montagne massicce e sagomate spuntano dalla sabbia rosa/rossa, in questo scenario il deserto è vivo, palpitante, di una strana bellezza con le rupi torreggianti di pietra scavata dal tempo, e dai colori indefinibili e mutanti secondo le ore del giorno e le stagioni
tutto intorno è vuoto e silenzio e in questi spazi immensi, ci si sente rimpiccioliti ridotti a granelli di sabbia ed è una senzione straordinaria, avverti fin nel profondo di far parte di quel paesaggio
ti sembra di percorrere le antiche valli della luna, e di trovare ad ogni passo tesori nascosti da milleni, senti in lontananza il galoppo di L.D’Arabia, che rincorre le tue orme e le tue fantasie
l’aria calda sembra gonfiare le colline e i canyon, e il cielo è limpido, terso di un azzurro cupo e a volte violento
la notte ti riporta ad un cielo stellato, aperto, ci puoi leggere come in una antica mappa,l a tenda nera dei beduini è una macchia scura in un buio, mai veramente tale, i suoni di un rababa si perdono nello spazio come cerchi concentrici che si allontano con tenera malinconia
ascolti il suono del silenzio, dei ricordi, dei sogni e dei desideri, del futuro
amo il deserto del Wadi, come nessun altro posto che ho conosciuto, amo l’ospitalità semplice e sincera dei bedu, amo il gaue morra, forte, amaro con quel sapore di hel che ti resta nella bocca nel tempo, amo ascoltare le ballate di Abu Tarek che parlano di guerrieri e di duelli, di caccia e d’amore per splendide fanciulle dalla pelle di pesca, amo svegliarmi all’alba raccolta nella pelle di montone, col suo sapore aspro, non ancora perduto, amo le voci squllanti dei bambini trattenute per non disturbare, amo il pane sottile e trasparente cotto sulla pietra
amo sì amo la sensazione di libertà assoluta, dai pensieri, dal quotidiano, da me stessa

Il Wadi Rum o della Valle della Luna

OGGI HO VOGLIA DI QUESTI SPAZI….

il Wadi Rum definito anche Valle della Luna, è un affascinante Spazio di sabbia rossa da cui si alzano montagne di Roccia, fu molto amato da Laurence d’Arabia, che ne conosceva anche i piu’ reconditi segreti.
si trova a 30 Km da Aqaba, quindi abbastanza vicino al Mar Rosso, ed è da tanti anni il mio posto delle Fragole. di solito per arrivare al piccolo villaggio di Rum si usa la macchina e poi se uno vuole a piedi o a cavallo
entrare nel Wadi Rum è come entrare in un altro Mondo, un luogo silenzioso, enorme, incredibilmente senza tempo
montagne massicce e sagomate spuntano dalla sabbia rosa/rossa, in questo scenario il deserto è vivo, palpitante, di una strana bellezza con le rupi torreggianti di pietra scavata dal tempo, e dai colori indefinibili e mutanti secondo le ore del giorno e le stagioni
tutto intorno è vuoto e silenzio e in questi spazi immensi, ci si sente rimpiccioliti ridotti a granelli di sabbia ed è una senzione straordinaria, avverti fin nel profondo di far parte di quel paesaggio
ti sembra di percorrere le antiche valli della luna, e di trovare ad ogni passo tesori nascosti da milleni, senti in lontananza il galoppo di L.D’Arabia, che rincorre le tue orme e le tue fantasie
l’aria calda sembra gonfiare le colline e i canyon, e il cielo è limpido, terso di un azzurro cupo e a volte violento
la notte ti riporta ad un cielo stellato, aperto, ci puoi leggere come in una antica mappa,l a tenda nera dei beduini è una macchia scura in un buio, mai veramente tale, i suoni di un rababa si perdono nello spazio come cerchi concentrici che si allontano con tenera malinconia
ascolti il suono del silenzio, dei ricordi, dei sogni e dei desideri, del futuro
amo il deserto del Wadi, come nessun altro posto che ho conosciuto, amo l’ospitalità semplice e sincera dei bedu, amo il gaue morra, forte, amaro con quel sapore di hel che ti resta nella bocca nel tempo, amo ascoltare le ballate di Abu Tarek che parlano di guerrieri e di duelli, di caccia e d’amore per splendide fanciulle dalla pelle di pesca, amo svegliarmi all’alba raccolta nella pelle di montone, col suo sapore aspro, non ancora perduto, amo le voci squllanti dei bambini trattenute per non disturbare, amo il pane sottile e trasparente cotto sulla pietra
amo sì amo la sensazione di libertà assoluta, dai pensieri, dal quotidiano, da me stessa

Nadar (Gaspard Felix Tournachon) o dei ritratti

Nadar (Gaspard Felix Tournachon)
francese 1820 – 1910

uno dei piu’ grandi fotografi che la storia ci abbia regalato, io amo moltissimo i suoi ritratti, è stato forse il primo vero grande fotografo
Il 6 aprile 1820 il quarantanovenne tipografo e libraio Victor Tournachon, figlio di un editore lionese, e la sua ventiseienne compagna, Thérèse Maillet, hanno a Parigi il loro primo figlio, Gaspard Félix, in arte Nadar , ma I Tournachon sono costretti, causa fallimento, a trasferirsi nel 1836 a Lione dove Victor morirà un anno più tardi lasciando la moglie, Nadar e il più giovane Adrien in condizioni economiche difficoltose. Nadar, appena diciottenne, si distacca dalla famiglia per trasferirsi a Parigi, dove inizierà gli studi di medicina. Capelli rossi scompigliati e baffi folti, un carattere estroverso, generoso e socievole, Nadar è capace di creare intorno a sé una cerchia di amici tra artisti, musicisti, giornalisti, poeti, scrittori, critici letterari, tutti uniti da valori di lealtà e libertà di espressione. Nadar proverà la sorte nella scrittura di saggi, articoli politici, recensioni teatrali e romanzi, ma diventerà famoso soprattutto per le sue caricature di uomini del mondo politico e intellettuale.
Cresciuto in un atmosfera politica liberale, Nadar gioisce nel 1848 per la vittoria del governo repubblicano sulla monarchia di Louis Philippe, una vittoria che gli permette di esprimersi artisticamente senza rischiare la censura. Partecipa ad una spedizione per liberare la Polonia dalla dominazione Russa con altri 500 volontari (si chiamerà per l’occasione Félix Turnaczewski) e riparte per la Prussia per valutare la proporzione della concentrazione russa alla frontiera. Di ritorno a Parigi, lavora per Journal pour rire, ma il compenso non è sufficiente, e nel 1850 divorato dai debiti che non riesce a saldare viene rinchiuso in carcere per un mese. Il colpo di stato di Napoleone III nel 1851 spazza via le speranze democratiche e limita la satira politica di Nadar che si dedica al disegno di personaggi celebri, riuniti in “Panthéon Nadar”, un lavoro arduo, incoronato da un vero successo di critica.
Nadar incoraggia il fratello pittore Adrien ad intraprendere lo studio della fotografia dal più grande maestro dell’epoca, Gustave Le Gray. La creatività di Adrien emerge, ma la collaborazione fra i due fratelli è infelice e conflittuale. Già nel 1855 i due si scontrano sul diritto d’autore e Nadar cita Adrien per essersi appropriato dello pseudonimo “Nadar jeune”. Nel 1857, appoggiato da numerosi intellettuali e artisti, vince la causa e Adrien, inghiottito dalla fama del fratello, ne rimarrà danneggiato. A causa dei continui disaccordi con Adrien, Nadar si trasferisce al rue Saint-Lazare dove vede salire il numero dei suoi modelli (filosofi, principi e ambasciatori). Il successivo studio, più moderno ed elegante, a Boulevard des Capucines attrae molti clienti tra cui anche i meno desiderati sostenitori reazionari di Napoleone III.
Nel 1872 lascia Boulevard des Capucines e il nuovo studio situato in un più modesto quartiere viene gestito da sua moglie, la protestante Ernestine-Constance Lefèvre, e da suo figlio Paul, dal 1895 proprietario unico dello studio. Nadar si trasferisce a Sénart, dove riprende la sua attività preferita: la scrittura. All’età di settantasei anni, nonostante una salute precaria, la sua vitalità non accenna a diminuire. Apre uno studio à Marseilles. Nel 1900, l’Exposition Universelle a Parigi gli dedica una prospettiva.
Nel 1903, dopo dieci anni passati in un ospedale psichiatrico, muore Adrien. Il 21 marzo 1910, un anno dopo la morte della moglie, si spegne Nadar, a Sénart, all’età di novant’anni.

Decine di migliaia di immagini. Un patrimonio di immenso valore fotografico e culturale, in parte a tutt’oggi all’esame di studiosi della fotografia. Nadar o il fratello Adrien? Chi è l’uomo che stava di fronte ai personaggi più eminenti della cultura del diciannovesimo secolo? E quando venivano effettuati quegli scatti sprovvisti di data? Per stabilire l’autore e una cronologia attendibile, i ricercatori analizzano il formato, il tipo di luce, il fondale e i mobili, la posa del soggetto e infine gli scambi di lettere e dichiarazioni. Ma per la maggior parte delle opere non vi è alcun dubbio: il più giovane Adrien, pur essendo dotato di grande sensibilità, non era all’altezza del fratello, uomo eccentrico, curioso, espansivo, comunicativo e generoso
Dopo un periodo amatoriale durato un anno, in cui eseguiva delle sedute informali con amici e familiari, dal 1855 al 1860 Nadar regala al mondo i suoi capolavori. Sono ritratti sontuosi, nei quali mette in risalto il carattere del soggetto attraverso gesti accentuati, persino drammatizzati. Nonostante presti un’estrema attenzione ai particolari (vestiti, cravatte, mantelli e foulard) il centro del suo interesse è sempre il volto. Maestro della luce, Nadar è capace di creare passaggi di tono che colpiscono persino l’occhio contemporaneo. Le sue sedute sono precedute da lunghe conversazioni che servono per rintracciare i vari aspetti della personalità del suo soggetto ed elaborare espressioni ed angolazioni.
E’ l’anno 1860 ed è di moda la “carte de visite” inventata e brevettata da Disderi sei anni prima. Quelle riproduzioni in miniatura, più economiche, diventano un fenomeno sociale, a cui Nadar, per non fallire, è costretto a partecipare, mettendo da parte la qualità. La luce che veniva dall’alto, dal soffitto vetrato, è più netta e priva di sfumature, le pose ripetitive, i vestiti più modesti e le scenografie più ricche di libri, sedie e tavoli. Sono due anni di prosperità, in cui la sua clientela si è perfino quadruplicata, ma la frenetica corsa al guadagno ha finito per renderlo un fotografo commerciale ed indaffarato, meno interessato alla ricerca artistica, dedito solamente a personaggi privilegiati come Sarah Bernhardt, Georges Sand, Edouard Manet, e Alphonse Daudet. Ma nel 1861 la mente nadariana viaggerà altrove. La sua passione per la medicina lo porterà a realizzare nove immagini di ermafroditi mentre la sua esigenza di innovare lo spingerà a scoprire le riprese con luce artificiale, tecnica che verrà da lui brevettata. Un uomo curioso e alla ricerca di emozioni, stupisce i parigini con i misteri delle catacombe e delle fogne (le prime fotografie mai effettuate sottosuolo). Affascinato dalla conquista dell’aria (nel 1858 effettua la prima fotografia aerea da una mongolfiera), Nadar fotografa le eliche come se fossero ritratti, esaltando forme e meccanica.

vi lascio alcuni ritratti col nome del protagonista e altri senza così magari cercate di riconoscerli!

E questi chi saranno? sono famosissimi!

questo freddo

comincia nel cuore questo freddo, arrivato d’improvviso, senza bussare alla porta con discrezione
si accoccola ai miei piedi e pretende di arrivare ai miei pensieri, con insistenza, decisione
impotente, stanca e senza desideri lo lascio vagare sulla mia pelle, giocare con le mie labbra, sfiorare i miei occhi
pur sempre un amico che arriva quando meno lo vorrei,
è un amico un compagno di tempi che si succedono e che non vogliono mai allontanarsi del tutto
lo temo e mi fa compagnia, gela le malinconie e i pianti, tramuntando le lacrime in cristalli salati, lasciando la pelle tirata che potrebbe spezzarsi al primo movimento
gli occhi mi dolgono, hanno dentro piccole punte di ghiaccio che impediscono loro il sonno e il riposo, come cime innevate che il sole non vuole scaldare
avvolgimi malinconia con un panno colorato e culla un corpo che ha bisogno di fuoco
a volte accade che la malinconia si faccia uccello e mi racchiuda fra le sue ali, ma basta un lieve soffio di vento o un rosso o un giallo ad allontanarla da me

come fare dei quasi “Trompe L’oeil” facilmente

tanto per rendere meno noioso un pomeriggio grigio e piovoso e umido si potrebbe fare  un simpatico giochetto come realizzare una foto che abbia un semplice “trompe l’eoil”, ecco in pochi passi come fare: serve un qualsiasi programma di grafica o fotoritocco anche quelli semplicissimi che si trovano free, oppure anche il programma “paint” che trovate fra  il gruppo di “accessori” come dotazione di Windows , l’unica cosa importante è che abbia lo strumento per selezionare a mano libera,ma ormai lo hanno tutti i programmi anche quelli che si scaricano liberamente da internet, poi scegliamo una foto (i quadri sono legegrmente più complessi per la selezione), io ho scelto questa;

e per ottenere l’effetto ho deciso di far uscire una parte del gambo dalla foto stessa, quindi con lo strumento seleziona amano libera seleziono la parte del gambo che voglio far uscire così

dopo aver selezionato. clikkiamo su copia poi apriamo un nuovo foglio di lavoro e clikkiamo incolla, avremo a così a disposizione la nostra parte di gambo da utilizzare dopo, a questo punto tagliamo la nostra foto fino alla parte di gambo che abbiamo già selezionato e copiato nel nuovo foglio così

adesso siamo quasi alla fine, dobbiamo assemblare i pezzi in un foglio nuovo (ancora) il cui sfondo lo decidiamo noi, io consiglio sfondi chiari se la foto è scura e sfondi scuri se la foto è chiara poi sul nuovo foglio incolliamo la foto tagliata e il gambo che avevamo già scontornato cercando di far combaciare bene i due pezzi, a questo punto “uniamo gli oggetti allo sfondo” e per dare piu’ evidenza al tutto passiamo la foto in un filtro “plastica” o “rilievo” o altro filtro che aggiunga spessore alla foto e che si trovano in tutti i programmi e il risultato è davvero simpatico ed è questo

come vedete una parte del gambo esce dalla foto, e questo rende l’effetto trompe l’oeil! la stessa tecnica si usa coi quadri io anni fa ne avevo fatti diversi adesso vedo se li trovo, sono un po’ più noiosi da selezionare a mano ma vengono davvero bene!

“Donne afghane in carcere a Kabul” le foto di Suzanne Plunkett

Zarghona e suo figlio Balal di sette mesi guardano dalla finestra della cella la prigione femminile di Kabul in Afghanistaan.

ieri sera leggendo un articolo del bellissimo blog di libri di Pina Bertoli , dedicato a Steve McCurry , un grande fotografo autore di quel bellissimo scatto di donna afghana che ha fatto il giro del mondo

mi sono ricordata che conservavo delle foto di donne afhane detenute nel carcere femminile di Kabul e fotografate da Suzanne Plunkett, fotogiornalista dell’Associated Press, New York che è diventata famosa l’11 settembre durante all’attacco alle torri gemelle perchè trovandosi lì per caso con la macchina fotografica fu la prima ad immortale quel terribile fatto
ma lei era da tempo sempre molto attenta a quanto avveniva nel mondo e questa serie di foto scattate nella prigione femminile di Kabul (Afghanistan), sono una testimonianza rara e fuori dagli schemi di un mondo femminile, dove nulla è mutato, anzi in prigione ci sono sempre le stesse donne e i loro figli, una realtà cruda e dura da digerire, ma la condizione della donna non si aiuta esportando la democrazia, perchè alla fine sempre quella è e sempre quella rimane..

Shekaba a sinistra nutre sua figlia Runiya di un mese , mentre Khairiya 17 anni siede a sinistra, ambedue analfabete!
Fahima . 13 anni spazza il cortile della prigione
Fauziya, al centro, parla con un visitatore attraverso un buco nella porta mentre la guardia carceraria Gulalai, a destra, guarda la prigione femminile
Shekaba fuma una sigaretta prima di nutrire la figlia Runiya di un mese
Sooniya, 5 anni, seconda da destra, e Zohra, 1, destra, dormono mentre Fahima, 13 anni, sinistra, tiene in braccio il bambino della sua compagna di cella
Zakiyah, a sinistra, fuma una sigaretta mentre lei e Shekaba, 24 anni, si riscaldano con una stufa elettrica
Sharifa, 20 anni, al centro, tiene in braccio la figlia di due mesi, Kareshma, mentre lei e le sue compagnie di cella parlano la sera prima di andare a letto
Le guardie carcerarie femminili se ne vanno dopo che il loro turno è terminato nella prigione femminile di Kabul a Kabul, in Afghanistan.

quando vidi queste fotografie mi venne l’idea di scrivere questo:

donna accucciata
nel disamore di sempre,
nella inutile speranza
di un giorno chiaro
memoria di una primavera
vissuta negli occhi
di un bimbo allattato al seno

vola il desiderio
oltrepassando il limitare
del cielo e del mare

tocca con dita leggere
la linea sfuggente
di un improbabile approdo

mescolando passione
e ritrosia, dolore
e paura, sorrisi e frustate
di un cuore sfilacciato e stanco.

(a tornare saltellando
sulla spiaggia dell’alba
ancora vorrei)

Emmanuel Radnitsky (Man Ray) o della luce

Emmanuel Radnitsky (Man Ray)
americano 1890 – 1976

un personaggio molto particolarem, fotografo, pittore, amante della letturatura e della poesia, amico di Duchamp. di Picabia, di Breton di Eluard, ha attraversato il movimento DADA e il SURREALISMO, rimanendo sempre fedele al suo modo così particolare di riprendere la realtà, sempre che di realtà si voglia parlare
il cambio del nome in Man Ray “uomo raggio” è significativo, è come una via aperta al raggio di “luce”, ovvero l’illuminazione come caratteristica primaria della sua opera
Il suo interesse-amore per la luce e per il mutare delle ombre in rapporto ai cambiamenti d’illuminazione (si era ai primi tempi dell’eletricità), è assolutamente evidennelle sue prime fotografie, sono oggetti comuni, ma sempre accompagnati dalle loro ombre spesso enormi, celebre fra queste La femme, è come se con Man Ray tornasse il mito della caverna di Platone
nasce a Filadelfia (Pennsylvania) da genitori ebrei russi con i quali parte, all’età di sette anni, per New York. Nella metropoli americana prendono residenza nel quartiere di Brooklyn. Al liceo, Emmanuel frequenta le lezioni di pittura e successivamente, appena diciannovenne, studia alla Scuola delle Belle Arti di New York, seguendo contemporaneamente corsi di disegno e di acquarello presso il Ferrer Center. A Ridgefield, nel New Jersey, dove vivrà per quattro anni, lavora come disegnatore pubblicitario. Tenta dunque, insieme al poeta Alfred Kreymborg, di fondare una comunità artistica. Incontra Alfred Stieglitz ed entra in contatto con l’avanguardia americana. La scoperta dei movimenti artistici europei avverrà nel 1913, dopo aver visto le opere di Marcel Duchamp e Francis Picabia all’Armory Show. Realizza quindi il suo primo quadro cubista: un ritratto di Alfred Stieglitz. Si sposa con la poetessa Adon Lacroix con la quale pubblica il libro A Book of Diverse Writings. La guerra in corso in Europa blocca il suo progetto di recarsi a Parigi.
A venticinque anni, Man Ray acquista una macchina fotografica per riprodurre i suoi quadri e fonda la prima rivista americana dadaista The Ridgefield Gazook: quattro pagine con sue illustrazioni e testi di sua moglie, Adon. E’ l’anno del suo incontro con Duchamp e della sua prima esposizione alla Daniel Gallery di New York. Nel 1919 si separa dalla moglie, pubblica l’unico numero di TNT, rivista di tendenza anarchica, e inizia una collaborazione fotografica e cinematografica con Marcel Duchamp. I due, insieme a Katherine Dreier, Henry Hudson e Andrei McLaren fondano la Société Anonyme, un museo d’arte d’avanguardia.
durante la quindicesima mostra annuale di fotografia, vince un premio per un ritratto di Berenice Abbott, allora scultrice e in seguito fotografa e sua assistente per tre anni. Il sodalizio con Marcel Duchamp è ormai consolidato e Man Ray lo raggiunge finalmente a Parigi dove incontra i dadaisti e fa la conoscenza di Jean Cocteau, Erik Satie e Kiki de Montparnasse.
Sono anni ricchi di attività artistiche: pubblicazione di libri, partecipazioni a decine di mostre personali e collettive, la realizzazione delle rayografie, di immagini di nudo, ritratti e fotografie di moda. Nel 1923 gira Retour à la raison, il primo di alcuni film (Anémic cinéma, Emak Bakia, L’Etoile de mer, Les Mystères du Chateau de dé). Nel 1929, Lee Miller diventa la sua assistente (e lo sarà fino al 1932).
L’invasione nazista del 1940 costringe Man Ray a lasciare la capitale francese alla volta di New York per stabilirsi successivamente a Hollywood, dove incontra Juliet Browner, sua futura moglie, e dove rimarrà per 11 anni prima di ritornare a Parigi.
Alla Biennale di Venezia del 1961 riceve la medaglia d’oro per la fotografia mentre nel 1971 gli saranno dedicate due retrospettive, a Rotterdam e a Milano (alla Galleria Schwarz), comprendenti 225 lavori realizzati tra il 1912 e il 1971.

E’ sempre rimasta dubbia l’opportunità di collocare Man Ray nell’ambito della fotografia, piuttosto che in quello dell’avanguardia dada, poiché fra i dadaisti era comune la rinuncia alle tecniche specificamente artistiche (legate al passato, di cui si voleva fare tabula rasa) per quelle moderne della produzione industriale, utilizzate anch’esse in maniera non convenzionale e creativa. A quel periodo risalgono, infatti, le cosiddette “Rayografie”,

chiamate ora comunemente “fotogrammi”, sono immagini nate in camera oscura senza l’ausilio di una macchina fotografica, grazie al processo chimico che la luce innesca sui materiali fotosensibili: il risultato è quello di un negativo degli oggetti opachi o traslucidi che sono stati appoggiati sulla carta.
Man Ray ne rivendica la paternità di “scoperta casuale”, ma la stessa tecnica è impiegata in quegli anni da Laszló Moholy-Nagy che, membro della Bauhaus, indaga le implicazioni gestaltiche di tali figurazioni. Bauhaus e Dada, del resto, partono da un’uguale idea di “universalità” dell’arte, alla quale possono concorrere le tecniche più disparate, arrivando tuttavia ad opposte istanze: di ricostruzione della società attraverso l’arte (dopo la prima guerra mondiale), l’una; l’altro di decostruzione d’ogni regola e convenzione borghese. Così le Rayografie, su questo sfondo culturale, acquistano un valore destabilizzante per le attese mimetiche ed iconiche, rispetto ad una tecnica ritenuta garanzia massima di realismo, e pongono le premesse ad un discorso critico sul linguaggio fotografico, che verrà affrontato esaustivamente molto tempo dopo da Ugo Mulas.
Resta il dubbio che per Man Ray non fossero altro che l’esito naturale della propria ricerca “pittorica” e luministica. Di certo egli ritiene la fotografia una liberazione dalla “fatica di riprodurre le proporzioni e l’anatomia dei soggetti”, che gli permette d’indagare con la pittura nell’immaginazione e nell’inconscio. E afferma:
“Io fotografo ciò che non voglio dipingere e dipingo ciò che non posso fotografare”.
Non lo interessa, dunque, per niente la competizione fra pittura e fotografia, che considera due campi totalmente distinti ed in certo qual modo complementari per la sua espressione. Continuerà, anzi, sempre ad operare in entrambi; si occuperà inoltre di scultura, cinema (sono sue le prime riprese del Ballet mécanique di Fernand Léger) e produrrà anche quei ready made “aiutati” (nati dall’accostamento di cose fra loro incongruenti, ma atte a generare un nuovo senso), che chiamerà “oggetti d’affezione”.
Nelle sue fotografie appariranno spesso tali assemblaggi, partecipi del nuovo clima surrealista, evocato da titoli fantasiosi che costituiscono una chiave di lettura letteraria (non letterale), e simbolica delle immagini. Questo gusto per lo scarto intellettuale e poetico provocato da un titolo inatteso, è tuttavia intimamente legato ai trascorsi dada di Man Ray ed alla sua polemica sulla convenzionalità dei segni linguistici (sono questi gli anni delle ricerche di Saussure): così ne La femme, foto di un frullatore

e la sua ombra, il valore dell’operazione è quello dada di un’alienazione di senso, tale che una sua seconda stampa può indifferentemente intitolarsi L’homme, accentuando i propri richiami alle concezioni “meccanico-sessuali” di Picabia, nonché alle teorie freudiane, che vogliono l’anima umana non univoca, ma portatrice in germe di caratteristiche dell’altro sesso

elsewhere and faraway (dell’ altrove)

la mano stringe gusci di selce fine
sollevati da refoli chetati qual piume
a ciglia sottili


allunga gli occhi piani il declivio silente
lungo le colline chiare della terra di Umm Qais
confini sono i capelli neri in trecce annodati
sul limitare bianco di un rosso tramonto


dalla terrazza del teatro sacro
ti vedo
ombra amata del desiderio di vita

alcuni famosi fotografi “gastronomici” di oggi

Francesco Tonelli

il più acclamato in questo momento è un italiano FRANCESCO TONELLI
è un food photographer, food stylist e chef italiano. Il suo portfolio include libri di cucina, fotografia di riviste, fotografia di ristoranti e progetti alimentari.
Tonelli ha lavorato con clienti come Chipotle, Coca-Cola e Pure Leaf. Il suo lavoro e il suo stile sono molto diversi. Ha un’ottima capacità di adattarsi allo stile dei suoi clienti.

famosissimo nel mondo americano, è il newyorkese DAVIDE LUCIANO, un Food Photographer di professione che ha fatto la sua fortuna realizzando interi progetti con uno stile unico in maniera gastronomica, i cui lavori sono a metà fra il mondo del cibo e quello della moda: le sue foto sono l’espressione maggiore del cibo inteso come fashion.


altro famosissimo è DANIEL KRIEGER, che dall’obiettivo della sua fotocamera fa entrare i nostri profili nelle migliori cucine del mondo, mostrando degli scatti che possiamo definire come a dir poco veriste, “al punto da farci sentire l’odore dei piatti messi in mostra ” così dicono i giornali di lui

per ultima MOWIE KAY famosissima in Inghilterra e quella che io preferisco, le sue foto sono con luce naturale . cosa rara in questo tipo di fotografie
Mowie è una fotografa gastronomica professionista con sede a Londra. Lavora nel settore da più di dieci anni. La sua fotografia di cibo include vari argomenti. Il lavoro di Mowie comprende libri, editoriali, packaging e pubblicità.
Tra i suoi clienti troviamo Harrods, Debenhams, Marks & Spencer, Tesco, KFC e Caffe Nero. I suoi lavori sono apparsi su Food & Travel Magazine e anche su Martha Stuart Living.

Rebus Sic Stantibus

Timeo Danaos et dona ferentes

4000 Wu Otto

Drink the fuel!

quartopianosenzascensore

Dura tenersi gli amici, oggigiorno...

endorsum

X e il valore dell'incognita

Cucinando poesie

Per come fai il pane so qualcosa di te, per come non lo fai so molto di più. (Nahuél Ceró)

Nonsolocinema

Parliamo di emozioni

Solorecensioni

... ma senza prendersi troppo sul serio

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